Il senso comune a volte è regno di banalità dannose. Disprezzare chi coltiva l’esercizio fisico è una di queste. Facile scorgervi un’ombra di cocente invidia, più raffinato vedervi un paradigma culturale che contrappone levatura culturale e allenamento fisico. La scienza medica ha smentito tale credenza dapprima sul terreno della salute. Da alcuni tipi di diabete, dove la combinazione disciplinata fra alimentazione e esercizio fisico permette di fare a meno dei farmaci, alla cardiopatia, l’esercizio fisico è prescritto come forma di longevità, di cura e di prevenzione.
Numerosi studi osservazionali hanno dimostrato che le popolazioni abituate a camminare almeno un’ora per tre o quattro volte a settimana, hanno un aspettativa di vita dieci anni superiore rispetto alle popolazioni sedentarie.
Il Coaching Umanistico si occupa dell’esercizio fisico come parte fondamentale della cura di sé a prescindere dal focus scelto dal cliente. In ogni percorso di Coaching, c’è un’attenzione voluta a questo aspetto che non solo è rilevante per la salute, ma è determinante per l’allenamento spirituale. Le più recenti ricerche scientifiche hanno evidenziato che l’esercizio fisico ha effetti straordinari sull’attività cerebrale. Il buon funzionamento del cervello, organo fondamentale della coscienza, richiede un’attività fisica regolare. I muscoli infatti sono un vero e proprio sistema endocrino e durante l’esercizio fisico generano ormoni e neurotrasmettitori in grado di irrobustire il cuore della coscienza. In particolare la produzione del BDNF (Brain Nerve Growth Factor), una sorta di ormone della crescita cerebrale, favorisce la neurogenesi e la plasticità, ovvero la capacità del substrato biologico di modificare i paradigmi dominanti, apprendere nuove cose, utilizzare parti del cervello lasciate spesso inattive. Sono i lobi frontali, predisposti al pensiero emozionato, quelli che dall’esercizio ricevono maggiore beneficio. I lobi frontali sono anche detti lobi culturali perché elaborano concezioni paradigmatiche da cui discendono decisioni, scopi, piani di azione, obiettivi. Sono i motori dinamici del superamento del passato in vista del futuro. Il BDNF agevola la loro funzione perché influisce sulla produzione di nuovi neuroni ma soprattutto sul cambiamento delle reti sinaptiche e sul loro consolidamento. I cambiamenti sono clamorosi. Negli anziani per esempio il regolare allenamento dei muscoli produce un miglioramento del 1800% sui parametri di memoria, attenzione e linguaggio. L’attività fisica ha un’influenza decisiva anche sul cambiamento dell’umore. E’ stato dimostrato che l’effetto di una camminata di mezz’ora incide sull’umore quanto un farmaco antidepressivo. L’esercizio ha effetti salutari anche sull’ansia, sulla rabbia e sulla tristezza, perché produce le famose endorfine. Non sono ovviamente elementi risolutivi, ma essenziali per mettere la persona nelle condizioni di pensare, riflettere, comprendere e creare soluzioni e cambiamenti.
I dati scientifici quindi concordano sulla decisiva importanza dell’attività fisica per attivare la plasticità cerebrale anche nell’età adulta. Ciò che ancora non sappiamo è quali sono i modi dell’esercizio che sono i più efficaci a tal fine.
Molti clienti dicono che non hanno tempo per fare sport. Andare in palestra o su un campo da tennis, implica una spesa cospicua di ore non solo per l’attività ma per tutto quello che la segue e la precede. Ma la maggior parte delle ricerche sembrano convergere sulla “camminata sostenuta” come principale esercizio fisico atto ad allenare il cervello. Camminare in modo sostenuto per quaranta minuti al giorno e almeno 4 volte a settimana ha tutti i benefici che abbiamo descritto. Per sostenuta, si intende quella camminata che produce il 50 per cento in più di frequenza cardiaca a un ritmo costante. In breve respiriamo con più decisione, ma senza arrivare all’affanno. E’ una camminata veloce che permette di parlare con una persona al proprio fianco. Con questo ritmo una persona può fare dai 4 ai 6 chilometri al giorno.
In realtà, il rapporto fra pensare e camminare è antichissimo. L’interrogazione sul senso e sul significato della vita nacque camminando nelle strade di Atene con Socrate, intorno al colonnato dell’Accademia con Aristotele, passeggiando nei giardini di Epicuro, nelle piazze di Alessandria con Ipazia, e, in seguito, nei chiostri silenziosi dei monasteri. Camminare era un’attività simbolica e culturale, che nel peregrinare assumeva le forme della meditazione, del raccoglimento interiore. Pensare camminando è esperienza dei sensi, è guardarsi intorno, sentire e sentirsi, ascoltare, incontrare spazi, persone, cose, storie e natura. Per secoli, incontrare ciò che è imprevisto, imprevedibile e poterlo raccontare è stato possibile proprio in virtù di lunghe camminate a piedi. Oggi questa esplorazione, favorita dal camminare, è interiore e di elevazione al tempo stesso.
Sarebbe altrettanto banale dover smentire che l’esercizio fisico è la panacea di tutti i mali e la soluzione di ogni problema. L’esercizio è esso stesso una potenzialità: mette il nostro corpo nelle condizioni di alimentare il pensiero, la creatività e la riflessione sentimentale. Sta poi a noi sfruttare questa potenzialità e trasformarla in imprese di autorealizzazione.
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