Abbiamo chiamato Rinascimento la rivoluzione culturale che seguì il culmine delle catastrofi medioevali e umanesimo la sua bandiera. La caratterizzò una spinta creativa e una volontà di rigenerazione. L’essere umano concepito non era certo padrone del suo destino. Nessuno si illuse di questa possibilità. Ma finalmente non era più uno spettatore passivo, vittima inerme degli eventi circostanti. L’impresa umanista rinascimentale sabotava la rassegnazione e il disorientamento, non accettava la sconfitta, che in quei tempi era la morte più crudele. La quarantena nella laguna di Venezia, l’invenzione pratica che evitò la distruzione della città, fu un simbolo della difesa della vita, ma spettò all’arte, alla letteratura, alla filosofia e alla scienza rilanciare il diritto alla felicità possibile. Le novelle di Boccaccio che diffusero la possibilità di una rinnovata gioia di vivere, quando le botteghe erano chiuse, i palazzi svuotati, le vie immonde, i campi incolti e la morte primeggiava ovunque. La poesia, dopo la peste, richiedeva che si dicesse: la vita è bella, anche se i profeti di sventure non se lo volevano sentir dire. L’arte di vivere richiede nuovi inizi che culminano quando la gioia di vivere si propaga liberamente nella convivenza e condivisione. Il novellare delle giovani donne sulla collina sopra Firenze propugnava notizie dispensatrici di vita. Così la cultura ironica della speranza seria si contrappose alla barbarie dell’ignoranza risentita, devota fedele delle disgrazie. Le biblioteche divennero le reti del sapere, non per ammassarlo, ma per diffonderlo. Gli editori i nuovi eroi che investivano nel voler esercitare influssi nuovi a chi era disposto a raccoglierli. Gli artisti crearono opere incredibili, come “astri di un secondo cielo”. E infine il principe imprenditore divenne protagonista dell’organizzazione di un nuovo terreno di gioco dove i migliori possono giocare con chi gioca con loro (Sloterdijk, 2018), ovvero tutto ciò che fuoriesce dal governo umano
Il Rinascimento non ha mai trasmesso l’idea che l’essere umano fosse padrone assoluto del suo destino, come sognano i complottisti nostrani o i para guru del marketing. Ma voleva battere l’idea che fosse uno spettatore passivo, senza scampo. Anelava a un essere umano in grado di giocare col fato sfidandolo. Pensava che, se avesse giocato bene, avrebbe trasformato il destino in Fortuna. A distanza di secoli, quell’epopea collettiva trova riscontro scientifico nell’investigazione delle complessità del mondo interno dei singoli individui. Viene scoperta la “Post traumatic growth”, una straordinaria potenzialità umana che riesce a trasformare le avversità in occasioni di crescita. Definisco quelli che la sviluppano i Rinascimentali contemporanei. Sono persone che di fronte alle avversità non arretrano, non si chiudono, non rinunciano alla vita felice, non si arruolano nelle legioni degli sconfitti, dei cinici e dei nichilisti. I Rinascimentali creano. Certamente non soffrono meno degli altri, hanno le stesse paure, vivono delle stesse ferite, passano attraverso nugoli di contraddizioni. Sanno che non sono le cause degli eventi traumatici (malattie, incidenti, lutti) che li hanno colpiti, ma non vogliono essere nemmeno vittime passive. I Rinascimentali creano significati nuovi, innovano le mappe relazionali, si evolvono attraverso coscienze diverse. La vita per loro assume nuovo vigore. Ri-scoprono non solo quanto sia preziosa, ma quanto sia bella da vivere. Si dedicano a una nuova cura di sé, curando le loro vocazioni, ovvero ciò che più amano. Cambiano le relazioni, dedicandosi soprattutto a quelle che considerano più preziose, ma senza rotture violente. Semplicemente diventano più dediti alle persone care. E si vedono diversi. Più fragili, vulnerabili, insicuri, ma anche più potenti, dotati di risorse che prima degli eventi erano impensabili.
La mia ipotesi è che dietro queste straordinarie creazioni di nuove coscienze, significati, relazioni e progetti pulsi nei Rinascimentali il diritto inalienabile alla vita felice nel suo più puro impeto sentimentale. L’amore per la vita delle novelle di Boccaccio risuona in loro come scelta luminosa e risorgente, non più letteraria ma concreta. I Rinascimentali oltre il trauma ri-creano la vita come opera d’arte degna di ammirazione e sono capaci di ispirarci se li guardiamo con l’occhio attento di allievi appassionati.
Oggi i primi Rinascimentali sono medici e infermieri che rischiano la loro vita, tutti i giorni, per salvare la nostra. Lottano contro un nemico oscuro che divora la vita che lo nutre. Molti di loro muoiono sul campo: il loro simbolo è il dottor Li Wenliang, uno dei primi a scoprire la nuova epidemia, a lanciare l’allarme, a fare di tutto per contenerlo e poi a essere oltraggiato dal regime cinese, accusato e minacciato per aver detto la verità: oggi questo oftalmologo appassionato di sport e di cibo giapponese è divenuto simbolo della libertà di informare e sapere, per conoscere e curare. Ma non ci sono solo loro. Di fronte a epidemie e disastri, ci sono anche sciacalli senza scrupoli: sono pronti a esaltare il peggio che risiede nell’essere umano ferito e addolorato. Animati da una devota simpatia per le disgrazie, sono come gli spudorati truffatori che rapinano gli anziani. Loro sono ladri di speranza. Alimentano il risentimento, la rabbia, la guerra contro i più deboli, i diversi, gli altri; perché gli untori sono sempre stranieri e nemici. Per questi la zona rossa non è una misura di emergenza rispettata da persone che dimostrano un altissimo senso di responsabilità comune verso la salute degli esseri umani, ma un progetto di vita, dove la felicità e la quarantena vanno di pari passo.
L’epidemia è un’avversità, che non deve creare panico ma nemmeno superficialità. Scuote coscienze, incrina certezze, sospende la vita, in un limbo di attesa. Un virus pandemico fuoriesce da suo habitat silvestre e si diffonde come un’onda inarrestabile. Un fenomeno epocale che ci terrà compagnia almeno per qualche mese. Rischiamo di cadere nella passività, nell’attendismo, in una sospensione che conta i giorni invece di vedere oltre.
In primo luogo la difesa: è fondamentale seguire le regole igieniche e comportamentali che possono limitare la diffusione del male. Essere addolorati e solidali per chi non ce l’ha fatta è segno di umanità. Il dolore non può essere negato. La paura non può essere sottaciuta. Ma dolore e paura sono inscindibili dall’amore per la vita, per ogni vita, anche per quelli che hanno deciso di irridere chi crede in una vita migliore nonostante le avversità. La difesa dal virus ci fa scoprire che la cura di sé non può prescindere dalla cura delle relazioni. L’igiene, le distanze, l’autoisolamento, sono forme di difesa che non possono prescindere dagli altri, dalla coscienza di un destino comune, che scavalca confini, etnie, culture, nell’essere semplicemente umani. La cura di sé è fatta di altruismo, solidarietà e responsabilità. La cura di sé è allenamento da fare insieme, sentendoci l’uno a fianco all’altro proprio nell’essere oggi a quel metro di distanza che abbiamo inventato per difenderci. Le avversità di un virus atroce possono far sorgere un sistema immunitario culturale del tutto nuovo, per la sua potenza globale. Il bene individuale non può prescindere dal bene relazionale e quindi dal bene in comune, questo possiamo imparare. E se oggi praticamente e simbolicamente questo significa prendersi cura di sé e degli altri in termini di difesa dal virus, domani può essere rilanciato in termini di affetto e vicinanza per far fiorire la vita, per ispirare un’arte di vivere fatta di gioia comune. Ma questo può vivere sin da oggi.
In secondo luogo la crescita: facciamo prevalere l’affermazione creatrice di cui siamo dotati. La chiusura delle scuole non può diventare una vacanza triste, ma l’occasione per studiare meglio, coltivare sport e amicizia, riflettere sul senso della propria vita e su come migliorarla e difenderla. I genitori possono scoprire quanto siano responsabili i propri figli nel fare la spesa, gestire la casa, preparare il pranzo e persino rimettere in ordine. Impensabile? Provateci e troverete sorprese incredibili: un adolescente che sente di essere utile per gli altri rivoluziona il proprio modo di esistere; ha la possibilità di far vedere quanto vale.
La crisi economica può trasformarsi in uno straordinario laboratorio di innovazione strategica. Il senso del lavoro, sull’esempio dei terapeuti eroici, può alimentarsi di una rinnovata responsabilità, eccellenza e cooperazione. Non credo che le soluzioni digitali possano essere l’alternativa, semmai uno strumento di emergenza, utile a non fermarci. Come Scuola, li utilizzeremo nei nostri corsi, perché la formazione dei coach professionisti in grado di allenare il rinascimento umanistico è più necessaria che mai. Cureremo la relazione maestro allievo. Daremo a tutti la possibilità di ri-seguire le lezioni dal vivo appena l’emergenza è finita. E gratuitamente.
Gli atleti e gli sportivi (mi hanno annullato due gare in un mese!!) possono riempire le strade e i parchi di nuova vita, e a fronte delle gare annullate, organizzare iniziative informali (mantenendo le dovute distanze) e riscoprire la bellezza dello sport al di là delle gare.
Ma soprattutto si tratta di prepararsi per il nuovo. Come migliorerà la nostra vita quando questa epidemia declinerà? Come saremo quando l’avremo sconfitta? Possiamo accontentarci di tornare a essere quello che eravamo prima? Certamente si. Ma allora non saremmo riusciti nell’impresa dei rinascimentali. Allenarsi a realizzare modi di vivere migliori e più felici e condividere le proprie idee sarà già un nuovo inizio. Alleniamo la speranza e moltiplichiamo le buone novelle ispiratrici, quelle dove prevale la cura degli uni e degli altri, trasformando l’avversità in una opportunità di crescita comune. E a fronte dei cinici e degli avvoltoi, mettiamo al centro i nostri valori di bene e di giusto. Perché questo alla fine siamo: persone di valore che non vogliono solo sopravvivere, ma essere sempre più felici.
Luca Stanchieri